Vecchio catenaccione
Anche taluni oggetti hanno un’anima, soprattutto i Fucili…
Ho un amico che si chiama Emilio Scaravelli e possiede una stupenda armeria in centro a Brescia e spesso aggiusta e “ringiovanisce” vecchi fucili non più in produzione, purchè di pregio o, comunque, vecchie glorie.
Un giorno mi dice: “Ce l’hai ancora quel tuo vecchio FN Auto5?”
Il mio è un fucile semi-automatico che ha più di trent’anni e quel modello saranno almeno dieci anni che non è più in produzione. Canna lunga cm. 70 con strozzatura da 11/10; “Speciale per il tiro al Piccione” è riportato a lettere d’oro -in lingua francese- sulla bindella: insomma, un vero insulto alla mediocrità. Però ormai il mio è un pezzo da museo o, meglio, un “catenaccione”.
“Sì” gli rispondo.
“E lo adoperi?”
“Di tanto in tanto, per vedere se spara ancora… Certo che quando riarma fa le capriole, da tanto che si è allentato!”
Lui ci pensa un momento su e poi: “Lo venderesti?”
Mi metto a ridere: “Io sì, ma chi vuoi che se lo compri?”
“Per cinquecento Euro lo daresti?”
“Anche subito!”
“Te lo compro io”
“Cinquecento?”
“Cinquecento Euro.”
“E che te ne fai?”
“La canna, mi interessa la canna. Canne come quelle adesso non ne fabbricano più.”
“Guarda che è chiuso da un bel po’, smontato in valigetta…”
“Non importa. So io come farlo sistemare; la carcassa pure mi serve per i pezzi di ricambio, viti, vitarelle, molle, mollette e altre carabattole…”
Insomma l’affare viene combinato. Di più, Scaravelli mi firma subito l’assegno. Non mi resta che portare il catenaccione da un armaiolo di Ponte Zanano che lui mi indica e che lo aspetta, per smontarlo pezzo a pezzo.
Difatti, al mattino dopo -libero da impegni di lavoro- mi arrampico sul soppalco per prendere la valigetta di plastica nera con l’interno in gommapiuma grigia, ove giace l’attrezzo in letargo. La poggio sul tavolo grande, passo un panno per l’immancabile polvere e apro: il mio primo automatico è ancora bello a vedersi.
L’olio rappreso sulla canna e sul castello ha comunque fatto il suo dovere preservando l’oggetto dall’umidità del soppalco. Le incisioni (scene di caccia con selvatici in volo su entrambi i lati del castello) hanno sempre il loro fascino.
“Ciao” mi dice lui appena vede la luce. “Quanto tempo che non ti sei fatto vedere! Cominciavo a pensare che mi avessi dimenticato per sempre.”
“E come potrei?” rispondo, con una punta di imbarazzo.
“Mi sembra ieri che, insieme al povero papà, ti abbiamo portato a casa dall’armeria, come regalo per il diploma, dritto nel fodero di tela da poche lire, in attesa della mia prima apertura…”
“Già” fa lui con tono sommesso. “E le tortore di quel giorno non le abbiamo mai più trovate… Ma, oggi, dove andiamo a colpire? Una bella gara al Piccione?”
“Non proprio. E’ da qualche anno che qui non si può più sparare al Piccione. Faremo qualche tiro di prova…”
Monto l’Auto5 ed asciugo con cura le parti metalliche con un panno morbido: lui si lascia fare tutto come ai vecchi tempi e lo ripongo in un fodero lungo.
Voglio portarlo a fare un’ultima serie al Percorso di caccia, prima del capolinea a Ponte Zanano.
E’ una bellissima giornata d’estate. Il sole è allegro e non fa ancora tanto caldo. Sul Campo, in pedana, lo imbraccio e sparo senza neanche guardare i bersagli che, però, si rompono: è come abbracciare un vecchio amico!
Giro l’anello sopra il mollone a “mezzo-freno” e lui digerisce senza problemi anche le “RC3-Competition” da 24 grammi di piombo n. 8 che stò usando.
Certo, vibra un po’ quando rincula e riarma, ma i facili piattelli “fumano come turchi” nel cielo di fiordaliso.
“Sei contento?” mi chiede lui, nella pausa a fine serie. “Spari ancora bene, come quando eri ragazzo… Anche se questi sono piattellini”
“Hai ragione” rispondo. “Ma una volta era meglio anche per me…”
“Forse perché tiravamo cartucce con 32 grammi di piombo… Però usi sempre il n. 8, vedo.”
“Già, lo sai che con il piombo dell’8 ci facciamo tutto, anche i passeri.”
Parliamo ancora un po’ fra noi, ricordando i bei tempi andati e i tiri miracolosi, proprio come due vecchi sparatori che si rivedono dopo un periodo di tempo troppo lungo.
“Anche io mi sono un po’ allentato” fa lui all’improvviso, “ma sono sempre lieto di servirti.”
“Non ti preoccupare; guariremo tutti i tuoi vizietti. Oggi ti porto da un armaiolo sul serio.”
Il belga FN di solito è molto riservato, ma oggi -dopo tanta astinenza- ha voglia: “Da un armaiolo, a fare?”
“Per rimetterti in sesto.”
“Perché? Mi trovi giù?”
“Una bella revisione” rispondo mentendo vergognosamente “ogni tanto ci vuole, no?”
Facciamo un’altra serie al Percorso e lui si compiace di farmi fare “palle nere” sui piattelli entranti, come non mi capita mai con nessuno dei miei tre sovrapposti da tiro. Il venerando catenaccione, pur intorpidito dalla stasi, si ritrova vivo e vigoroso.
“Caspita” non posso fare a meno di dire al termine della seconda serie. “Sei in vena oggi.”
Lui finge di non raccogliere e mi chiede: “Si può sapere dove andiamo adesso?”
“Da un armaiolo, te l’ho detto. Da un armaiolo bravissimo.”
“Perché allora mi avevi detto che era solo per qualche tiro di prova?”
“Qualche tiro di prova” confermo stupidamente “prima di andare dall’armaiolo.”
Lo pulisco con la pezza unta d’olio e l’asciugo come una creatura: da come si lascia fare tutto e riporre nella custodia capisco che è felice.
Eppure questa è l’ultima sua uscita; eppure io lo sto menando al macello!
E’ invecchiato, lo so. E’ un rudere. Basterebbero una trentina di Eliche dietro fila, con robuste cartucce da 36 grammi di piombo per finire di allentarlo e rivelare il suo sfacelo.
Questo mi dico, cercando di giustificare il mio tradimento; riapro la custodia per guardarlo ancora e lui: “Ti ricordi nel 1973, la prima vera gara al Piccione al Tiro a Volo “Lazio”? Vincemmo il premio riservato ai giovani e quel trofeo d’argento che ancora tieni sul camino, con nove piccioni fulminati di seguito e una sola seconda canna.”
“Sicuro che me lo ricordo. Ma che cosa c’entra?”
“Niente” fa lui. “E ti ricordi quel pomeriggio a beccaccini nella piana sotto Leno, che alla fine sparavamo al buio e, per sbaglio, mi hai fatto abbattere pure un barbagianni che volava radente l’orizzonte e non si capiva cosa fosse? Ti ricordi?”
Io taccio, chiudo la cerniera per tutta la lunghezza e parto alla volta di Ponte Zanano: ecco l’officina, finalmente!
Entro nel laboratorio e, ammucchiate un po’ dovunque in ordine sparso, canne di tutti i calibri e le misure; in parte, una grossa cassa di legno contiene molle, viti, grilletti, meccanismi di ogni genere.
Tempo domani, anche il mio Auto5 sarà ridotto in brandelli così.
“Siamo arrivati” dico tirandolo fuori dalla custodia.
“Siamo arrivati?”
“Già.”
“Ma questo…” fa lui “…Questo non è un laboratorio da riparazioni…”
Cerco con gli occhi qualcuno ed ecco un ometto allampanato che deve essere il capo, viene oltre e mi fa “Ah, questo dev’essere il catenaccio per il signor Emilio. Lo metta pur là, su quel bancone, che so già tutto…”
Ripiego il fodero (almeno quello, non intendo lasciare: lo terrò per ricordo…) e lui subito: “Tu… tu mi vuoi fare questo?”
Lo dice con un accento tremulo e disperato che non gli ho mai sentito.
Non ho il coraggio di rispondere, ma sulla sua bascula leggo l’espressione orribile di chi, senza preavviso né motivo, si è sentito condannare a morte.
“Guardi, le ho già preparato in questa cartellina la dichiarazione per lo scarico in Questura” fa l’ometto.
“No… no” balbetto al capo operaio. “Non ce n’è bisogno. Grazie. Guardi, non se ne fa più niente… Sono venuto qui appunto per avvertire che non se ne fa più niente.”
Riprendo il mio Auto5, lo ripongo in custodia. Risalgo in macchina. Rimetto in moto. Retromarcia. Fuori, nel sole. Fuori dallo scannatoio: via di nuovo per le libere strade.
Potremo, se vorremo, andare ancora a sparare insieme.
Eppure, ancora oggi -ogni tanto- c’è qualcuno in casa che mi consiglia:
“Ma perché non ti sbarazzi di quel “catenaccione”, visto che non l’adoperi mai? Perché continui a occupare un posto nel soppalco e in denuncia?
Qualcosa puoi sempre cavarne, se non altro a peso di rottame…” poi ride a lungo, come se avesse detto una cosa divertente.
Io rispondo “Sì, sì, ci penserò…”
Adesso il mio Auto5 è dentro la sua valigetta -pulito e lubrificato- che dorme beato.
Ogni tanto lo scopro e lo guardo, lui mi sorride.
Ma non ho il coraggio di spararci ancora per non sentire la sua voce.