Vortici

Frammenti di vita.

VORTICI.

In un vortice di polvere gli altri vedevano il mutare repentino del tempo o del vento sulla sconfinata pianura del deserto. A me ricordava, invece, l’elica quando esce a 6.700 giri sotto la pioggia battente e lascia la sua scia attraverso tutto il campo e anche ben oltre la rete, invano inseguita dalle due repentine fucilate del Tiratore, che ha gocce d’acqua sugli occhiali color arancione.

La pensilina su ruote, quando piove “a vento” e per davvero, è del tutto inutile in pedana e le eliche sembrano più maligne del solito, mentre la pioggia a gocce finissime si deposita sulla bindella, sulle mani, sul viso, su tutto…

Giornata infelice, tempo inclemente, risultati scarsi!

Ma stasera, tornando a casa, bagnati e con gli stivaletti infangati, sul calendario della nostra esistenza quest’oggi infausto ci sarà comunque segnato per buono, avendo fatto ciò che volevamo fare.


IL VINCITORE.

Al termine della “Grande Gara”, a molti dei presenti il Vincitore appare ridicolo, perché si gonfia compiaciuto; mentre, in realtà, egli non sa che cosa fare in mezzo a quelle continue strette di mano, saluti, battute, pacche sulle spalle e gesti con le braccia ai lontani.

Invece, i concorrenti che non hanno vinto, sparsi a gruppetti per il comprensorio del Campo di Tiro, cercano di assorbire l’ampiezza della sventura che li ha colpiti e l’ingiustizia che –in qualche modo- è stata loro inflitta dal destino, dopo aver fatto tanti sacrifici e affrontato spese per potersi trovare lì, a disputare quella competizione persa.

Assumono, tuttavia, un atteggiamento fresco e riposato, quasi dovesse cominciare una nuova gara: una cosa seria, dopo questo “gioco da ragazzi”!

Mentre il Vincitore continua ad essere acclamato dalla folla invidiosa e passa fra gli abbracci sudati di quelli che gli si sono fatti intorno (per godere anch’essi di un fugace attimo di notorietà, spacciandosi per suoi intimi e vecchi amici…), i vinti -per parte loro- superato il primo momento di delusione e smarrimento, tengono la bocca chiusa e vanno a smontare i loro fucili e lasciare le cartucce nella valigetta, sul ripiano dell’Armeria.

Nel parcheggio, alle spalle della Casa del Campo, pochi tiratori isolati che si allontanano, piccoli, verso l’orlo dell’orizzonte.

E la notte sta calando per tutti.


LA PLACCA.

Durante l’intervallo per il pranzo sul Campo di Tiro, in una soleggiata domenica pomeriggio di fine estate, si sentono colpi di fucile cadenzati (uno ogni tanto…), ma gli impianti sono deserti. Chi sarà?

Lontano lontano, all’estremità del Comprensorio, un sagace pisquano prova –proprio ad ora di pranzo- la stessa gialla cartuccia su una placca improvvisata, col suo bel sovrapposto da Elica a strozzature fisse.

La placca altro non è che la scura porta in ferro della cabina elettrica che sorge al limitare dei Campi, ove il pisquano -munito di pennellessa e un bidoncino di bianca tempera murale- dopo ogni schioppettata, si reca a dare un fugace sguardo alle minuscole impronte dei pallini che copre subito con un paio di pennellate e si allontana di nuovo per spararvi ancora contro…

La scena si ripete per una ventina di volte, da che mi sono avvicinato perplesso.

Stesso fucile, stesso bersaglio immobile, sparando alla medesima distanza la stessa gialla cartuccia da 35 grammi di piombo a botta…. Peraltro, fra le più collaudate al mondo, per il tiro all’Elica!

Lo guardo, mio malgrado; lui infine mi vede, viene oltre e mi fa:

“Che dici? Saranno 40 metri da qui?”

“Credo di sì…” rispondo senza entusiasmo e vorrei anche dirgli: “Perché non hai misurato, prima di cominciare ‘sto casino?”

Il pisquano tira altre quattro o cinque fucilate con lo stesso sistema e poi, contento come un bambino, esclama: “Hai visto che rosate? Non ti stancheresti mai di spararle ‘ste JK6…”

Mi allontano scuotendo il capo e intanto penso che c’è sempre chi ha i soldi da buttare e… le inventa tutte, per fare prima!