Il figlio dello scrittore
Anche sparare bene non significa un bel niente…
“E’ un ottimo racconto” disse il padre al ragazzo. “Ti rendi conto di quanto è buono?”
“Non volevo mandartelo, papà.”
“Che altro hai scritto?”
“Questo è l’unico racconto. Non volevo mandartelo, davvero. Ma quando ha vinto il premio…”
“La mamma vuole che io ti aiuti. Ma se sai scrivere così bene non hai bisogno dell’aiuto di nessuno. Devi soltanto scrivere. Quanto tempo ti ci è voluto per scrivere questo racconto?”
“Non molto.”
“Dove hai saputo le particolarità di quel tipo di caccia ai colombi?”
“Forse me ne hai parlato tu, papà.”
“E’ un ottimo racconto. Me ne ricorda uno che lessi tanto tempo fa.”
“Con te è facile che questo capiti… Sei sempre a leggere!”
Quell’estate il ragazzo lesse libri che suo padre scelse per lui nella immensa biblioteca e quando si faceva vivo all’ora di pranzo, se non era andato al Campo di Tiro a sparare ai piccioni, diceva non di rado di avere scritto.
“Fammi vedere quello che scrivi quando vuoi o rivolgiti a me se incontri difficoltà” gli disse suo padre. “Scrivi di qualcosa che conosci”.
“E’ quello che faccio” disse il ragazzo.
“Fa’ così allora. Non voglio intromettermi o influenzarti. Si trattava soltanto di esercizi: sarei stato lieto di farli con te.”
“Probabilmente è meglio per me continuare da solo, come per il racconto.”
“Certo” disse suo padre.
Io non sapevo scrivere così bene quando avevo la sua età, pensò il padre.
E non ho mai conosciuto nessuno che fosse così bravo. Ma non ho neppure mai conosciuto nessuno che a dodici anni sparasse meglio del ragazzo; non semplicemente sparare di prova, ma sparare in gara con uomini adulti e professionisti. Era in grado di fare perfettamente questo già a quattordici anni. Sparava come se avesse avuto un radar incorporato.
Non mancava mai il bersaglio, non consentiva a un piccione vivo di allontanarsi troppo e sparava con uno stile splendido e con assoluta tempestività e precisione anche ai fagiani in battuta e alle anatre di passo che volavano alle stelle.
Nelle gare al Piccione, quando si faceva avanti sulla striscia di cemento portandosi fino alla piazzola gommata che segna la distanza di tiro, i tiratori di mestiere tacevano osservandolo. Era l’unico tiratore che la folla vociante del “Betting” contemplasse nel più assoluto silenzio.
Alcuni professionisti sorridevano, come se fossero stati a conoscenza di un qualche “segreto” quando lui portava il calcio del fucile alla spalla e si allungava avanti dritto con il collo fino a poggiarvi delicatamente ma decisamente la guancia. Sistemata la testa, spostava la mano sinistra molto in avanti sull’asta, il peso del corpo sostenuto dal piede sinistro.
La canna del fucile si sollevava e si abbassava, poi si spostava a sinistra, a destra e tornava al centro. Sollevava appena il tallone del piede destro mentre sembrava protendersi con tutto se stesso dietro i due colpi nelle canne.
“Pronto” diceva, con quella voce rauca che non apparteneva a un ragazzetto.
“Pronto” rispondeva l’uomo incaricato di far aprire le cassette.
“Ohh!” diceva la voce bassa e da una qualsiasi delle cinque cassette il piccione grigio scattava via e in qualsiasi direzione lo spingessero le ali, a volo alto o radente sopra l’erba verde verso la bassa rete nera a fondo campo, il piombo sparato dalla prima canna lo penetrava e il piombo partito dalla seconda canna seguiva il primo.
Mentre l’uccello si afflosciava in volo, cadendo a testa in giù, soltanto i grandi tiratori distinguevano l’impatto della seconda rosata di pallini penetrata nell’uccello già morto nell’aria.
Il ragazzo apriva allora la doppietta (i bossoli gialli volavano con perfetto sincronismo nella retina a lato) e tornava indietro sulla striscia di cemento verso la Casa del Tiro, la faccia del tutto inespressiva, gli occhi bassi, senza mai lasciar capire che apprezzava gli applausi e mormorando “Grazie”, con una strana voce rauca, se qualche professionista diceva: “Bel tiro, ragazzo.”
Andava a mettere la doppietta sulla rastrelliera, aspettava per vedere sparare suo padre -che non era certo bravo come lui- poi si recavano insieme al bar della “club-house”, a mangiare qualcosa.
“E’ andata bene, però mi dispiace essere stato così lento. Non avrei dovuto lasciar prendere velocità a quel piccione.”
“Volava forte e basso, Chicco.”
“Nessuno se ne sarebbe mai accorto se non fossi stato così lento.”
“Te la stai cavando benissimo.”
“Ritroverò la mia solita rapidità. Non temere papà. Questo panino e il thè freddo non mi renderanno lento.”
Il piccione successivo morì in aria non appena la cassetta si abbatté, consentendogli di lanciarsi in volo. Tutti videro il secondo colpo centrarlo in aria prima che piombasse al suolo. Non si era allontanato di un metro dalla cassetta.
Mentre il ragazzo tornava indietro, uno dei tiratori abituali disse:
“Ti è andata bene, ragazzo”.
Lui annuì e mise il fucile nella rastrelliera. Diede un’occhiata al tabellone dei punteggi. C’erano altri quattro tiratori prima di suo padre.
Andò a cercarlo.
“Hai ritrovato la velocità” disse suo padre.
“Ho sentito la cassetta aprirsi” disse il ragazzo.
“Punto sempre dalla parte del rumore della cassetta e sparo, anche se non vedo il piccione…”
La sera, dopo l’ultima grande gara internazionale alla quale avevano partecipato entrambi, il ragazzo gli aveva detto:
“Non capisco come qualcuno possa sbagliare un piccione”.
“Non dire mai questo a nessun altro” aveva detto suo padre.
“No, parlo sul serio. Non c’è ragione di sbagliarne uno. L’unico su cui ho fatto “zero” lo avevo colpito due volte, ma è andato a cadere fuori.”
“E’ così che si perde.”
“Me ne rendo conto. E’ così che ho perduto. Ma non vedo come un vero tiratore possa sbagliarne uno.”
“Forse lo capirai tra vent’anni” aveva detto suo padre.
“Non avevo l’intenzione di essere fanatico, papà.”
“Va bene” aveva detto suo padre. “Ma promettimi che non lo dirai mai con nessun altro.”
Stava pensando a questo quando si era meravigliato del racconto e dello stile del ragazzo.
Nonostante il suo incredibile talento, il figlio non era diventato un campione di Tiro al Piccione né per le sue doti naturali, né grazie agli insegnamenti e alla disciplina. Aveva dimenticato tutto ormai dell’addestramento. Aveva dimenticato che quando cominciava a sbagliare i piccioni suo padre gli toglieva la camicia e gli mostrava il livido sul braccio, là dove aveva appoggiato male il calcio del fucile.
Aveva dimenticato la disciplina del peso appoggiato sul piede portato avanti, tenendo la testa bassa e spostando il fucile.
Come sai che il tuo peso poggia sul piede spostato in avanti?
Lo sai sollevando il tallone destro. A testa bassa, quando punti fulmineamente. Il punteggio non importa. Voglio che tu li centri non appena escono dalla cassetta. Non guardare mai nessuna parte del piccione che non sia il becco. Punta le canne nella direzione del becco. Se non riesci a vedere il becco punta dove dovrebbe essere. Quello che voglio da te adesso è la rapidità.
Il ragazzo era un meraviglioso tiratore per natura, ma lui aveva lavorato con suo figlio per farne un tiratore perfetto.
Ogni anno, quando cercava di addestrarlo ad una maggiore velocità, lui iniziava abbattendo sei o sette piccioni su dieci. Poi passava a nove su dieci; per qualche tempo continuava così e poi arrivava a venti su venti per essere sconfitto soltanto dalla fortuna, che in ultimo stabilisce la graduatoria fra i tiratori perfetti.
Non aveva mai mostrato a suo padre il secondo racconto.
Alla fine delle vacanze non era riuscito a terminarlo in modo da esserne soddisfatto. Disse che voleva fosse assolutamente perfetto, prima di mostrarglielo.
Aveva trascorso un bellissimo periodo di vacanza -disse- uno dei migliori ed era contento inoltre di aver potuto leggere tanti bei libri.
In fin dei conti, le vacanze sono vacanze e quelle erano state bellissime, forse tra le più belle, e indubbiamente si erano divertiti moltissimo, sì senza dubbio.
Soltanto sette anni dopo suo padre lesse una seconda volta il racconto vincitore del premio. Era in un libro che trovò riordinando alcuni volumi nella camera appartenuta un tempo al ragazzo. Non appena lo vide capì da dove era saltato fuori il racconto. E ricordò la sensazione di familiarità provata tanti anni prima.
Sfogliò le pagine ed eccolo, immutato, nella raccolta stampata dei brani pubblicati all’epoca nella rubrica del Grillo Saggio. Il ragazzo lo aveva copiato parola per parola dal sito “www.iltiro.com”, servendosi anche del titolo originale…
Alla luce di quanto era poi rispettivamente accaduto nella vita di entrambi in tutti quegli anni, egli ora sapeva con certezza che il ragazzo era sempre stato un buono a nulla. Rievocando il passato, lo aveva pensato più volte… Certo era assai triste, per un Tiratore come lui, rendersi conto che anche sparare bene non significava un bel niente.
(liberamente ispirato a E. Hemingway)