Nel mirino del Grillo - I racconti di caccia e tiro a volo di Grillo Saggio

Un invito tardivo

Cercare di conciliare le donne con il Tiro -per molti le due grandi passioni della vita, spesso in contrasto fra loro- risulta il più delle volte impossibile.

Cara vorrei che tu venissi con me una domenica d’inverno al Campo di Tiro e dopo aver pranzato accanto al fuoco nel ristorante, mi guardassi -da dietro i vetri- mentre sparo le mie poche Eliche prima degli inevitabili zeri.
E magari, mi venissi ad abbracciare dopo la sconfitta ed insieme sorrideremmo dicendoci cose semplici e schiocche, osservando i nostri respiri condensarsi nell’aria gelida di tramontana, chiedendoci a vicenda: “Ma che abbiamo fatto di male noi due, per essere qui adesso…?”
E potremmo anche domandarci: “Ti ricordi due anni fa, a Ghedi? Che bella gara, che Eliche fuori di prima canna e che giornata tremenda! Peggio di oggi…” e ti stringeresti a me, pigiandomi il naso gelato sulla guancia ruvida…
Ma tu -ora mi ricordo- non eri con me due anni fa a Ghedi e neanche la scorsa stagione.
Mai mi hai visto sparare da dietro i vetri della “club-house” aspettando teneramente che uscissi vinto dalla pedana: anche se andassimo ora, in questa sera d’inverno, dietro i vetri probabilmente noi rimarremmo muti, io perdendomi nei ricordi delle gare importanti, tu in altre cure a me ignote.
Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata dal vento nel piazzale del Campo di Tiro spagnolo, nei viali intorno tenendoci per mano; e che fosse di sabato.
In attesa che inizi la gara al Piccione, in terra straniera sorgono spesso pensieri malinconici e grandi. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro il poligono, dalle macchine fuggenti sulla strada, dai rumori che sempre accompagnano la nostra passione… Andremmo con passo leggero fino alla chiamata in pedana per il turno e mi guarderesti centrare i bersagli in un’esplosione di piume e udresti pronunciare il mio nome con accento strano, seguito da commenti che non capiremmo…
Ma tu -ora mi ricordo- mai fosti con me in Spagna e in nessun’altro posto per accompagnarmi a una riunione di Piccione, nè puoi quindi amare quei sabati primaverili che dico.
Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna.
Tu sei diversa da me e se venissi quel sabato a Saragoza, ti lamenteresti di essere stanca: solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in uno di quei piccoli Campi solitari a mezzacosta, che chiudono ai primi freddi di settembre perché sono sempre in alto, e si può tirare alla Fossa o al Percorso fra gli alberi, godendo dell’ombra anche subito dopo pranzo e sorseggeremmo dalla stessa lattina una bibita fresca seduti sull’erba.
Potremmo anche fare un giro a piedi nel bosco alle spalle, continuamente ridendo per le cose più semplici od esplorando con la mente i segreti degli alberi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Ci potremmo poi fermare sul ponte a guardare l’acqua del torrente che passa, sapendo che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai… “Che bello!” diresti allora.
Ma tu – ora che ci penso- credo guarderesti attorno senza capire e ti fermeresti preoccupata a esaminare il tacco di una scarpa, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello!”, ma altre povere cose che a me non importano e non saremmo neppure per un istante felici…
Vorrei pure -lasciami dire- vorrei con te sottobraccio entrare alla Casa del Campo in attesa della cena, alla vigilia della “Finale del Campionato Intergalattico di Tiro al Coriandolo Volante” per i soli e veri “Fenomeni della Natura” in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo.
In quei magici momenti del giorno prima, quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di loro una specie di musica.
Ma tu -lo capisco bene- invece di guardare abbracciata a me il cielo di cristallo e la cima delle colline d’intorno al Campo battute dall’estremo sole, vorresti essere in centro a guardar le vetrine, gli ori, le pellicce, i nuovi telefoni cellulari, le scarpe firmate… E non ti accorgeresti dei presentimenti che passano, nè udresti quella specie di musica.
Tu penseresti al tuo povero domani e io sarei comunque solo, sul Campo di Tiro.
E’ inutile, forse tutte queste sono sciocchezze di un inguaribile tiratore romantico e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita…
Ma vorrei comunque tentare almeno una volta con te, cara, e affrontare una gara di quelle importanti lontano da qui; allora cercherei di spiegarti quei piccoli trucchi, le attenzioni e le scaramanzie che hanno fatto di me un grande del Tiro a Volo mondiale e ti mostrerei finalmente quanto è in gamba il tuo uomo in pedana!
Ma tu -adesso ci penso- sei troppo lontana, anni e anni insieme difficili a valicare e che ci hanno separato per sempre.
Tu sei dentro a una vita che ignoro e, probabilmente, altri uomini ti sono accanto, a cui sorridi come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre… Probabilmente non riesci già più a ricordare il mio nome, mentre continuo ad andare a sparare da solo, come sempre.
Perché, purtroppo, sei fatta così.