Domenica mattina si va a caccia
Memorie di tempi lontani, quando per tutta la settimana si aspettava soltanto questo.
La sveglia suonò alle quattro del mattino.
Non capita a molti, soprattutto di domenica e tantomeno a metà novembre, quando fuori le pozzanghere della via sono ricoperte da un sottile strato di ghiaccio cristallino e il vento autunnale, tagliente come un rasoio, vi soffia gelido in superficie.
Dopo aver annaspato sul piano del comodino, con sforzo notevole il ragazzo riuscì a localizzare la tremenda fonte sonora e, con essa, il magico pulsante del silenzio.
Forse non era vero che si doveva alzare, si illuse per un attimo, e tornò a posare la testa sul cuscino tiepido; ma il braccio, rimasto penzoloni fuori del letto, cominciò ben presto a raffreddarsi, dandogli coscienza –pur nel dormiveglia- della sostanziale differenza di temperatura esistente nella stanza.
Allora si alzò a sedere sul letto e spostò bruscamente il cumulo di coperte che lo aveva protetto nel recente sonno, ormai definitivamente interrotto.
Rimase così per un po’ ma pensò che era meglio muoversi, se non voleva gelare. Con precario equilibrio raggiunse il bagno e si custodì svelto, rabbrividendo a tratti per l’acqua fredda sul viso, poi si vestì con panni pesanti. Ora stava decisamente meglio.
Preparò meccanicamente la caffettiera e la pose sul fornello acceso, con accanto il pentolino del latte. Mentre il caffè saliva gorgogliando in densi sbuffi cremosi e diffondeva il suo aroma per la cucina, il ragazzo tagliò quattro fette di pane dal filone insipido e le pose aperte sulla tavola.
Vi mise sopra prosciutto, alternandolo a formaggio e le richiuse a due a due; poi le incartò usando tovaglioli di carta incollati ai lembi con del nastro adesivo trasparente.
Mise tutto in una busta consistente di carta marroncina , con due mele, un barattolo di aranciata e il coltello milleusi.
Spense il gas e mescolò il caffellatte, ben zuccherato, dentro una grande tazza senza manici che tenne qualche istante fra le mani, assaporando il calore del liquido profumato prima ancora del gusto. Dopo alcune confortanti sorsate guardò l’orologio appeso al centro della parete: le 4 e 45.
Aveva ancora un quarto d’ora, pensò.
Allora, si sedette in cucina poggiando la schiena a contatto delle lucide maioliche verdi, sfruttando l’esiguo spazio esistente fra il tavolo e la macchina a gas.
Rimase così, a centellinare i minuti in un’attesa sonnolenta, ma venata d’una euforia quasi palpabile, scandita dal rumore appena percettibile della lancetta sul quadrante dell’orologio, ad ogni secondo che passava.
Improvvisamente si riscosse, sistemò nel lavello tutto quello che aveva adoperato per il primo caffè del mattino e terminò di vestirsi, calzando pesanti stivali in pelle. E’ sempre una fatica tirare i lacci a dovere ed armeggiare con gli infiniti occhielli!
Fatto ed erano le 5 precise: le mosse del ragazzo –ora perfettamente sveglio- si susseguivano rapide e precise. Erano gli unici rumori udibili in tutta la casa, ma non turbavano la quiete profonda che aleggiava consistente per le stanze.
Egli percepì immediatamente le vibrazioni del motore giù in strada e corse ad affacciarsi al balcone.
Una ventata gelida lo investì, dandogli bruscamente la misura di ciò che lo attendeva. Guardò giù e vide, illuminato da lampioni ondeggianti, il fuoristrada nero, fermo al centro della strada deserta.
Il motore, al minimo, brontolava cupamente e il vento spazzava la condensa dei gas dal tubo di scarico, disperdendola.
Il guidatore, fidato compagno di tante uscite e amico fraterno, non era visibile, né scese ma il ragazzo gli fece egualmente un cenno silenzioso con il braccio alzato, come a dire “Sto arrivando!”;
Dalla strada l’uomo lo avrebbe certamente visto, grazie alla luce al neon proveniente dalla cucina alle sue spalle.
Rientrò in casa e chiuse bene la finestra, a contrastare il vento che non si voleva rassegnare a star fuori; poi, animato da un’incontenibile smania di far presto, afferrò la busta preparata con la colazione e si diresse rapido all’ingresso ove, tra il piccolo radiatore e la porta, attendevano
–ordinatamente disposti sin dalla sera precedente- il lungo fodero marrone con dentro il suo nuovo FN Auto5 e la borsa con l’assortimento delle cartucce.
Ripose la colazione nella catana ed uscì sul pianerottolo. Premette il pulsante dell’ascensore e lo udì salire con un cigolìo sgradevole, nel silenzio dell’edificio pervaso dal sonno profondo di tutti gli altri suoi inquilini.
Quando finalmente arrivò l’ascensore al piano, il ragazzo ne aprì lentamente la porta esterna cercando di non far rumore.
‘Eppure di giorno sembra tanto silenzioso’ pensò, mentre trasbordava i suoi bagagli attraverso le due porte aperte. Richiuse piano quella di casa, accompagnando con la chiave inserita lo scatto della serratura, poi la sfilò riponendola nella tasca interna della giacca di fustagno.
Una delle due ante dell’ascensore, per la fretta, gli sfuggì di mano e batté con un tonfo sordo. Ebbe la sensazione di aver svegliato tutto il palazzo!
“Accidenti a te!” imprecò tra i denti –sempre più impaziente- azionando il comando per la discesa.
Le 5 e 5. In fondo non aveva impiegato molto a scendere, ma ebbe egualmente la sensazione della lentezza estenuante di ogni sua mossa.
Carico di tutto uscì in strada, si diresse svelto alla macchina e ne aprì il portellone del vano posteriore.
“Buongiorno! Scusami per averti fatto aspettare, ma ho dovuto fare piano per non svegliare tutti dentro casa” fece a voce bassissima, rivolto all’uomo che attendeva.
“Ciao” rispose questi con un sorriso. “Non ti preoccupare, hai fatto prestissimo. Come va?”
“Bene, grazie. E tu?”
“Anch’io. Aspetta che ti aiuto a sistemare le tue cose” disse l’uomo scendendo dal mezzo.
Insieme collocarono accuratamente le tante carabattole tipiche dei cacciatori, in modo che le loro non dovessero subire bruschi spostamenti durante il tragitto, per le sollecitazioni dovute al tratto di terreno impervio che avrebbero certamente percorso.
L’uomo, infine, legò i foderi dei fucili e le borse con una cinghia passante a tenerli uniti.
Richiuse il portellone e tornò al posto di guida, da dove aprì al ragazzo che gli si sedette accanto.
“Allora, dove andiamo stamane?” questi domandò euforico, accendendosi la prima sigaretta.
“Vogliamo decollare?” aggiunse poi, fregandosi le mani già intirizzite.
“Di preciso non saprei…” fece l’uomo, anche se era chiaro che lo sapeva benissimo dove sarebbero andati. “Se sei d’accordo pensavo che, con questa tramontana, potremmo tentare dalle parti di…………… Conosco un posto sulla cima di una collina, fra un’estesa piantagione di olivi e grandi appezzamenti per il pascolo del bestiame. Con un tempo così dovrebbe essere davvero buono… Può passare veramente di tutto!”
“Per me va bene” rispose il ragazzo, pronto. “Quando sono con te, i miei stanno tranquilli e prima di sera non mi aspettano. Decidi tu… Ho portato duecento cartucce.”
L’uomo sorrise bonariamente scuotendo la testa, avviò il pesante mezzo e percorse la traversa fino a raggiungere la strada principale, ancora più squallida in quell’ora antelucana.
Loro due erano comunque in fuga da tutto ciò, pensò il ragazzo con incontenibile soddisfazione, mentre il fuoristrada andava rapido per le vie cittadine. Il suo rendimento, con il motore caldo in rapporto alla bassa temperatura esterna, era ottimale.
‘Davvero eccezionale’ proseguì felice nella sua mente il ragazzo e intanto fumava di gusto, inondando l’abitacolo.
“Vuoi fumare?” chiese, tendendo all’amico il pacchetto morbido delle Camel senza filtro, che aveva poggiato sul cruscotto.
“Si, grazie” accettò l’uomo. “La prendo volentieri perché non ha il filtro. Una ogni tanto… Mi ricorda la fine della guerra, quando arrivarono gli americani… Ma già, tu non c’eri!” sorrise cordiale portando la corta sigaretta alle labbra, badando a non umettarne la cartina.
“Per forza non c’ero!” rispose con enfasi in ragazzo porgendogli il fuoco, mentre l’altro -senza distrarsi- seguiva la strada davanti a sé.
“Speriamo sia almeno un buon giorno per il passo, dal momento che il freddo è assicurato…!”
fece l’uomo come fra sé. Stettero poi in silenzio per un lungo istante, assaporando la loro prima sigaretta di quel giorno, insieme alla piacevole ansia dell’attesa… Ormai mancava poco davvero.
Imboccarono la statale lasciandosi alle spalle la città silente e le sagome torve degli enormi casamenti, immensi alveari umani dove migliaia di persone uccidevano la vita dormendo e fra poche ore -aprendo finalmente gli occhi- avrebbero per qualche istante temuto di doversi recare anche quella mattina al lavoro.
Loro proseguivano, comunque, nonostante il freddo ed il sonno, nonostante tutto!
Al modo del soldato onesto, che risale le turbe dell’esercito in disfatta per raggiungere la sua trincea, ove il nemico sta già bivaccando…
Gli edifici ai lati della strada si erano intanto gradualmente diradati ed ora non se ne vedevano quasi più. Anche l’illuminazione pubblica risultava inconsistente, limitata a qualche crocevia ritenuto pericoloso.
I proiettori supplementari -come lame nella notte autunnale- fendevano con tutta la potenza le tenebre davanti alla carreggiata e il vento gelido spingeva le nubi, che sembravano correre alla loro stessa velocità, accavallandosi nel cielo.
Le stelle, luminosissime, risplendevano nitide negli squarci del sereno sovrastante, mentre loro andavano verso una giornata da trascorrere insieme, ad attendere quel sole che doveva sorgere ancora e che -grazie alla comune passione- avrebbero visto fra i primi, godendo di un privilegio riservato a pochi.
Ma gli altri, al momento dormienti, come potevano capire?